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Alessandro Marinella - L’imprevedibilità è il segreto della longevità

di Francesco Del Grosso - 21 Ottobre 2022

Nonostante la giovane età, il ventisettenne Alessandro ha l’onere e l’onore di rappresentare la quarta generazione della famiglia Marinella, al cui cognome è legato il prestigio di una delle Maison di accessori e abiti di lusso più conosciuti al mondo, con oltre 108 anni di storia alle spalle.

Le cravatte della E. Marinella e non solo sono autentici tesori di raffinatezza e di gusto, frutto della magia della vera sartoria napoletana che prende vita ogni mattina nei laboratori dell’azienda.

Con entusiasmo e determinazione, il classe 1995 affianca il padre Maurizio nel portare avanti la filosofia familiare, che condivide pienamente e che nasce dagli insegnamenti di suo nonno e del suo bisnonno Eusebio, fondatore del brand nel lontano 1914. A gennaio del 2017, dopo aver terminato gli studi, entra ufficialmente a far parte dell’Azienda e sceglie di intraprendere il suo percorso formativo e conoscitivo dallo store di Londra, dove si trattiene per circa sei mesi.

Rientrato in Italia è attualmente impegnato negli uffici della Casa Madre, dove si occupa di conoscere e migliorare tutti gli aspetti organizzativi e operativi dell’azienda, con particolare attenzione ai progetti esteri, ecosostenibili e digitali. Di recente è stato inserito dal magazine Gentleman nella classifica Top 30 Millennials come uno degli uomini under 30 più eleganti d'Italia, per poi conquistare un posto in quella di Forbes Magazine dei 100 Top Under 30 più influenti d’Italia nella sezione Manufacturing and Industry.

Lo abbiamo incontrato nella splendida location a picco su una delle insenature più suggestive del Golfo di Policastro, l’Hotel Spa Villa del Mare, che lo scorso luglio ha ospitato la prima edizione del Maratea Green Experience, dove Alessandro Marinella ha portato la sua esperienza e quella dello storico marchio di famiglia del quale fa parte nel campo dell’ecosostenibilità.

Quali sono gli elementi che caratterizzano E. Marinella e che ne hanno decretato il successo?

“L’artigianalità che caratterizza le lavorazioni a mano dei nostri prodotti. Abbiamo una sartoria a 50 metri dal negozio che realizza sul posto tutte queste lavorazioni. Le imperfezioni delle persone che vi sono dietro sono per quanto ci riguarda un valore aggiunto. Poi c’è questo parallelismo con l’Inghilterra, con tutti i tessuti che vengono stampati lì rigorosamente a mano.

Ad oggi le stampe dei tessuti, principalmente in seta, vengono realizzate da moltissimi brand in digitale, che è un metodo molto veloce, con tempi di attesa bassissimi e che non richiede costi particolarmente elevati. Noi invece utilizziamo ancora un metodo storico di stampa detto per erosione, che richiede circa sei mesi per avere il tessuto finito da lavorare poi a mano.

Quando si acquista una cravatta presso un nostro punto vendita, di quella stessa fantasia ne esistono solo altri tre pezzi gemelli. L’unicità è un altro punto di forza, perché non abbiamo mai voluto fare larga distribuzione di massa dei nostri capi d’abbigliamento, proprio per mantenere al massimo livello possibile la qualità dei prodotti”.

Napoli e la sua anima come entrano a fare parte del DNA del brand?

“Quando mi chiedono se esisterebbe E. Marinella senza Napoli io rispondo sempre di no.

L’azienda nasce come importatore di articoli inglesi, che nell’immaginario comune vengono visti come super classici e tradizionali.

Noi abbiamo preso questa eleganza very british, questo classicismo, è l’abbiamo reso gioioso e folcloristico, contaminandolo con i colori, l’entusiasmo, l’affetto e lo spirito tipicamente partenopei.

Adesso si parla tanto di business model, di strategie di marketing e aziendali, mentre noi abbiamo sempre messo il cliente, che trattiamo come un ospite, al centro di tutto. Sin dal primo momento abbiamo voluto instaurare un rapporto di amicizia con il consumatore attraverso una strategia che possiamo definire inconsapevole, diversa da quella finta e studiata a tavolino di molti altri brand di lusso.

Le persone ci vengono a trovare nei nostri store anche solo per una chiacchiera informale, a chi è in fila ad attendere di essere servito offriamo caffè o sfogliatelle. Con queste piccole attenzioni cerchiamo di fare sentire il cliente come a casa. Abbiamo ritardato il più possibile l’e-commerce e la vendita online, iniziando solo in seguito alla pandemia, perché il front commerce e il contatto diretto con il consumatore ha per noi rappresentato e rappresenta una parte integrante della filosofia aziendale.

La gente ci passava e ci passa a trovare anche per un consiglio. E poi l’influsso napoletano è presente nelle nostre collezioni, basti pensare ad esempio ai foulard nei quali vengono richiamati, anche se in certi casi nascosti, dei motivi scaramantici. Tutti questi elementi hanno fatto in modo che E. Marinella non fosse soltanto un negozio di abbigliamento, ma uno status, o utilizzando le parole di Matilde Serao, una vera e propria farmacia di paese”.

Qual è secondo lei il segreto della longevità del brand?

“L’imprevedibilità. E. Marinella è un vero e proprio miracolo in tal senso. Non abbiamo mai guardato a strategie di marketing, fatturati e bilanci, piuttosto abbiamo semplicemente posto la massima attenzione al rapporto con il consumatore finale, alla qualità dei prodotti e all’artigianato.

Altro elemento importante è la continuità data dal ricambio generazionale di figli che hanno voluto e saputo raccogliere l’eredità di chi li ha preceduti, proseguendone con entusiasmo il lavoro e allo stesso tempo portando nell’azienda idee proprie.

Io rappresento la quarta generazione, ma prima di me ci sono stati il mio bisnonno, mio nonno e mio padre. Ciascuno di noi ha portato qualcosa e ha dato il proprio contributo alla causa”.

Quale o quali sono le sfide che attendono un’azienda come la sua nei prossimi anni?

“Siamo nell’epoca della digitalizzazione, dell’e-commerce e delle criptovalute. Noi di E. Marinella ci siamo chiesti per anni se entrare nell’online, se vendere i nostri prodotti tramite computer e come farlo senza tradire i valori che abbiamo sempre sposato.

Nel periodo di immobilismo totale causato dalla pandemia, quando i negozi erano chiusi e c’era la cassa integrazione, ho spinto per l’aprire l’e-commerce.

Adesso possiamo contare su un magazzino gestionale con oltre dieci dipendenti assunti nell’arco di un anno e mezzo, che ha raggiunto quasi il 20% del fatturato.

L’innovare senza tralasciare la tradizione è sicuramente la sfida più complessa. Per quanto ci riguarda lo stiamo facendo pian piano, integrando a piccoli passi con delle pillole di innovazione questo cambiamento sia in noi stessi che nel consumatore, con quest’ultimo che non è ancora realmente abituato a tale passaggio. C’è una frase del Gattopardo che dice: affinché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Un altro tema molto caldo è quello dell’ecosostenibilità. Come state lavorando in funzione della difesa dell’ambiente?

“Stiamo vivendo un momento di grandi cambiamenti, compreso quello climatico. Da qui il bisogno di fare azioni reali e concrete in difesa dell’ambiente, perché ci siamo resi conto che certe pratiche non sono più sostenibili e chi come noi opera nel campo dell’abbigliamento non può restare fermo a guardare.

Come prima cosa stiamo cercando di sostituire le bustine di plastica che normalmente vengono utilizzate per contenere i capi con dei contenitori fatti di un materiale polimero che ha all’interno una catena di batteri che a contatto con l’acqua o il terreno si biodegrada in circa tre mesi. Dall’altro lato siamo riusciti a sviluppare insieme a un’azienda siciliana, la Orange Fiber, la prima linea di accessori composta in parte da seta e in parte da una fibra tessile ricavata dalla buccia delle arance, che è molto simile al lino o al cotone.

Lo studio dietro questa linea è durato più di un anno e il lancio iniziale della prima collezione è stato interamente acquistato dal Ministero degli Esteri, per poi essere regalato ai Capi di Stato di moltissime nazioni come esempio della sostenibilità dell’Italia nel mondo. Questi sono dei passi che nel nostro piccolo stiamo portando avanti in vista di una piena ecosostenibilità”.

Per un giovane imprenditore di successo come lei quali sono state le difficoltà da affrontare?

“Poco più che ventenne mi sono ritrovato a raccogliere un’eredità molto importante, quella di un brand con oltre cento anni di storia alle spalle. Questo comporta una grande responsabilità, che va di pari passo con delle aspettative altissime.

Avere un padre che ha fatto tanto è sicuramente una pressione notevole. Il volere dimostrare, oltre che a lui, anche a tutte le altre persone che lavorano dentro e fuori dall’azienda che pure le nuove leve come me possono creare qualcosa di significativo ti spinge a impegnarti ancora di più. Ciò determina uno stress psicologico molto forte. Con tutta sincerità devo dire che all’inizio è stata dura e ho sofferto tanto. La paura di tradire la fiducia dei miei predecessori, ma anche di tutte le figure che collaborano a vario titolo con l’azienda, è costante.

Quest’ansia la combatto dando il 100%, quotidianamente, per imparare sempre di più da mio padre e arrivare pronto al giorno in cui toccherà a me prendere le redini dell’azienda.

Adesso che sono trascorsi cinque anni dal mio ingresso nella Società, anni che mi hanno fatto maturare e crescere umanamente e professionalmente, le cose sono migliorate e ho acquisito più sicurezza e consapevolezza nei miei mezzi. Sento che sono sulla strada giusta”.

Di suo cosa ha portato all’azienda oltre alla spinta all’intraprendere la strade dell’e-commerce?

“Sicuramente la digitalizzazione dei processi. Prima non esisteva nulla di tutto ciò. E. Marinella era un brand focalizzato sulla vendita retail e sui negozi monomarca. Adesso possiamo contare su una gestione più organizzata, anche su una base gerarchica, oltre che su un piano di lavoro più articolato che ci porta a ragionare sull’incidenza delle materie prime sul fatturato, sullo studio e sulle reazioni dei mercati esteri, con una certa attenzione al target price e alla scelta delle categorie merceologiche più corrette per i nostri prodotti.

In tal senso, penso che ho contribuito a portare nell’azienda una certa internazionalizzazione e uno sguardo più attento alle nuove generazioni. Come? Puntando sui social, sulla rete, sul digitale e come accennato in precedenza sulla sostenibilità.

Essere sostenibili oggi significa essere pro-attivi, non soltanto attivi, poiché non è ancora un’imposizione, ma lo sarà a breve. Questo ti consente di anticipare il mercato, avere un vantaggio sui competitor, ma soprattutto di essere coscienziosi di quello che si può e non si può fare”.

Restringendo il campo alle cravatte, che restano la punta di diamante della vostra produzione e un marchio di fabbrica riconosciuto in tutto il mondo da decenni. Cosa deve avere una cravatta per essere “perfetta” e cosa fa di una firmata E. Marinella una cravatta “perfetta”?

“Ogni singolo square deve essere tagliato a mano, il disegno deve essere centrato e avere quelle piccole imprecisioni date dalla cucitura a mano che la rendono unica.

L’idea e l’utilizzo della cravatta sono cambiate nel tempo. Se prima veniva vista come parte di un’uniforme lavorativa, da qualche decennio a questa parte è diventato un bene e un accessorio che si utilizza per andare a un evento e per sentirsi più eleganti e sicuri con se stessi. E quindi sapere che quella cravatta non è un prodotto industriale, ma qualcosa di unico che viene associato a un evento speciale ne fanno un valore aggiunto inestimabile”.

Qual è la sua idea di lusso?

“Mentre in passato era qualcosa legato all’economicità e al costo di un bene o servizio, adesso penso che sia dissociato da ciò e dipenda dal suo valore intrinseco.

Il lusso ad oggi è l’impossibilità di altre persone di avere un bene, sia esso gratis o immateriale. È la difficoltà nel reperirlo, ma è dato anche dalla storia che ha dietro. Quando ci chiedono ad esempio perché quella di E. Marinella è una cravatta di lusso, noi rispondiamo sempre che quello stesso modello di cravatta è stato indossato dai presidenti della Repubblica italiana e degli Stati Uniti dai Kennedy in poi, perché è stato esposto al MoMA di New York tra i 111 oggetti più rappresentativi del Secolo.

Questo per dire che una nostra cravatta può anche costare meno di una di un competitor, ma è la sua storia a parlare. Questo per me è il vero lusso”.

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