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Dopo l’assalto al congresso l’America deve risolvere la sua crisi interna

Marzo 2021 - Scritto da Dario Fabbri

L’America del dopo assalto al Congresso è dominata dal cosiddetto “deep state” o “Stato profondo”.

Nel tentativo di scongiurare l’implosione della società nazionale, nei prossimi mesi gli apparati federali vorranno silenziare Trump e portare nel mondo le sofferenze percepite dalla cittadinanza, con il concreto rischio di non risolvere le criticità interne e avvitarsi in crisi internazionali assai pericolose, in grado di acuire la tempesta che furoreggia.

In questa fase gli Stati Uniti sono scossi dal diverso rapporto che le principali macroregioni locali intrattengono con la dimensione imperiale.

Le coste, atlantica e pacifica, profittano enormemente dalla condizione egemonica sul piano finanziario e mediatico, ma paiono aver dimenticato di vivere in un impero, si pensano afferenti a una nazione (quasi) normale.

Gli Stati meridionali (Dixieland) sono militaristi e molto orgogliosi di esistere nell’impero globale ma soffrono il tentativo di omologazione culturale ordito ai loro danni dal resto del paese.

Il Midwest, cuore germanico d’America, ha sacrificato orgogliosamente il proprio benessere per trasformare la superpotenza in un compratore di ultima istanza, rinunciando alla manifattura locale, ma ora percepisce la fatica di tale scelta, ritiene ingiusto che a beneficiarne siano soprattutto le coste.

Inevitabilmente Sud e Midwest, territori furiosi, sono diventati il principale bacino elettorale di Donald Trump, capace negli anni di intestarsi dolosamente le loro istanze, di ergersi a improbabile paladino del loro dolore. La ritrosia del newyorkese nell’accettare il risultato elettorale favorevole a Biden ha indotto la cosiddetta America profonda a scagliarsi contro i simboli del potere istituzionale.

Così lo scorso 6 gennaio centinaia di rivoltosi hanno invaso il Campidoglio, sede della Camera dei rappresentanti e del Senato, profanando l’istituzione più potente del paese, con il sostegno della polizia, spontaneamente incline a riconoscere nei bianchi anglosassoni coloro che hanno un maggiore diritto a protestare.

Lo shock prodotto dagli eventi ha determinato l’avvento al potere delle agenzie federali, molto più influenti della Casa Bianca.

Come dimostrato dalle nomine di Biden nei principali dicasteri, quasi tutti assegnati a “tecnici”, gli apparati statunitensi si apprestano a gestire pressoché in solitaria l’azione interna ed esterna della superpotenza. Anche per anzianità del neopresidente, probabilmente condannato a un solo mandato. E per debolezza della vicepresidente, addirittura costretta un anno fa a rinunciare alle primarie democratiche per assenza di consenso.

Duplice l’obiettivo dello Stato profondo, di dimensione domestica ed esterna.

Anzitutto, dannare la memoria di Trump, privandolo dell’eloquio sui social. All’indomani dei fatti del Campidoglio gli apparati hanno imposto ai Big Tech di silenziare il presidente uscente su ogni piattaforma perché accusato d’aver istigato la rivolta - benché in Europa occidentale esista la convinzione che questa decisione sia stata presa da Twitter o da Facebook. L’idea è obliterare la presenza di Trump affinché si stemperi il suo peso politico, magari impedendogli di candidarsi ancora attraverso un (improbabile) intervento del Congresso o un’azione giudiziaria ai suoi danni.

Quindi le agenzie federali intendono condurre da sé la politica estera. Il progetto è costringere l’opinione pubblica a concentrarsi sull’estero, distogliendo gli occhi dalle crisi domestiche che rischiano di provocare l’implosione del contesto.

Sicché nel medio periodo Washington si mostrerà più aggressiva in specifici teatri internazionali.

Nell’Asia-Pacifico dove è impegnata a contenere per mare la Repubblica Popolare Cinese, in Medio Oriente dove vuole ridurre l’ascesa della Turchia, tra Europa e Asia Centrale contro la Russia.

Possibilmente senza cominciare una nuova guerra, ma con sufficiente intensità da porre in primo piano cosa succede nel pianeta.

 Manovre molto rischiose. L’eliminazione politica di Trump, peraltro improbabile, non risolverà le faglie interne alla società americana perchè queste non sono state create dal magnate newyorkese.

Lo schizofrenico rapporto con l’egemonia globale di estese parti della nazione proseguirà anche senza di lui. Anzi, un suo tentato accantonamento potrebbe acuire ulteriormente le tensioni, anziché risolverle.

Così la scientifica volontà di occuparsi maggiormente del globo, conducendo al parossismo l’aggressività statunitense nei confronti dei principali nemici, rischia di provocare nuovi conflitti, di trascinare Washington in scenari di impossibile soluzione.

Con la possibilità che il fronte interno si spacchi ulteriormente al cospetto di nuove prove onerose.

Esattamente quanto gli apparati non vorrebbero provocare, ma che rischiano concretamente di vivere.


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