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Intervista a Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi.

24 febbraio 2022 - Scritto da Cristina Provenzano


Dalla difficoltà può emergere un’opportunità.
A un anno e mezzo dalla diffusione del covid che ha stravolto le nostre vite,
cosa ci porteremo per sempre con noi e cosa abbiamo imparato?

Ne abbiamo parlato con il Rettore dell’Università Bocconi di Milano, Gianmario Verona, che di una cosa è certo: “Insieme si vince, da soli si perde”.


Su cosa deve investire l’Italia in questo momento, quali sono le priorità per la ripartenza?

“Noi stiamo vivendo un momento storico unico che enfaticamente viene chiamato la “quarta rivoluzione industriale” che stravolge l’economia e la società nel suo insieme. Questo processo va avanti dalla fine degli anni ’90 quando è esploso un incrocio di tecnologie: prima le telecomunicazioni e il web, oggi il cloud, in futuro quello che chiamiamo intelligenza artificiale.

Questa quarta rivoluzione industriale è stata pesantemente sottovalutata in Italia. Banalmente dei grandi attori del digitale l’Italia non ne ha nessuno e abbiamo lasciato scorrere questo tema come se fosse qualcosa di cui occuparsi in futuro. Al digitale deve aggiungersi un secondo investimento che questa pandemia ha evidenziato. Le priorità cominciano a essere legate ai bisogni che la nuova globalizzazione mette in campo.

Quando si parla di sostenibilità, di “climate change”, di energia pulita, si fa riferimento ai nuovi bisogni che questo tipo di problematiche evidenziano in modo specifico.”

Anche in tema di sostenibilità siamo indietro?

“Pur essendo la seconda potenza europea a livello di export manifatturiero, abbiamo bisogno di una forte innovazione che permetta di allinearci a questi grandi cambiamenti che stiamo vivendo, soprattutto con riferimento alle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto portante di questo paese.

Fortunatamente, il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ci aiuta ad avere le risorse per mettere in campo un profondo cambiamento.

Si deve come prima cosa digitalizzare pesantemente tutte le industrie e bisogna anche investire per avere un approccio nei confronti dei processi produttivi, distributivi e di consumo legato ai temi della sostenibilità. Bisogna quindi investire in questi grandi capitoli considerando che essi richiedono non solo risorse ma soprattutto un cambiamento culturale.

Digitalizzare non vuol dire comprare un telefono di ultima generazione, ma riorganizzare tutta l’attività industriale intorno ai dati e per farlo ci vuole anche molta volontà.

Se lo pensiamo in relazione ad alcuni settori come la pubblica amministrazione o l’università, con la loro tendenza a non cambiare lo status quo, questo cambiamento culturale non è scontato. Il cambiamento culturale è quello che ti porta a fare le riforme.

Possiamo fare grandi investimenti nello SPID o nella tracciatura del covid ma se poi non semplifico l’implementazione e non incentivo le persone perché non cambio la loro mentalità, sto spendendo dei soldi a vuoto.”

Di cosa hanno bisogno le aziende in questo senso, per realizzare questi obiettivi?

“Sicuramente le aziende hanno bisogno di incentivi economici, ma è necessaria anche un cambio di passo nel contesto. Occorono riforme che aiutino a implementare nuove regole, come per esempio il tema della semplificazione. Questo PNRR potenzialmente potrebbe essere un Piano Marshall che fa rinascere l’Italia.”

Rispetto ai fondi del PNRR, l’Italia si gioca tutta la sua credibilità?

“Assolutamente sì. Nel mondo globale, siamo sempre sotto esame. In questo momento siamo fortunati ad essere rappresentati da una persona del calibro di Mario Draghi che è tecnicamente esperta e credibile in Europa. Tuttavia la situazione dell’Italia è non banale.

Le faccio un esempio di un settore di cui siamo di solito considerati leader mondiali, il settore del lusso e del design. Quando pensiamo al design e al lusso del futuro è tutto legato a dei processi digitali che purtroppo molte piccole o medie imprese non hanno ancora disegnato. La nostra competitività rischia di essere compromessa da questa quarta rivoluzione industriale.

In parte la pandemia ha creato una crisi globale, ma ora abbiamo l’opportunità di ripartire e dobbiamo trovare la giusta chiave.”

Le sfide legate al covid come hanno impattato sulla didattica?

“Da circa 20 anni nel nostro settore si discute della didattica a distanza in contrapposizione alla didattica in presenza, molti professori a livello internazionale hanno anche scritto articoli in cui si diceva che l’università in qualche modo doveva cambiare pelle. Il commercio al dettaglio è stato il primo grande settore che ha subito la rivoluzione digitale, poi è toccato ai giornali e a tutto il mondo dell’entertainement.

Le università però hanno una serie di servizi che si basano sulle interazioni sociali e umane estremamente importanti, l’apprendimento richiede condivisione.

La pandemia ci ha costretto a fare un salto verso la didattica a distanza. Il nuovo “normale” sarà un modello in cui il digitale sarà sempre più integrato con la presenza.

Il digitale quindi non è sostitutivo, ma aiuta a potenziare la presenza stessa.

Quello che stiamo facendo in Bocconi è incrementare le possibilità di coinvolgere sempre di più gli studenti anche fuori dall’aula, che rimarrà centrale dal punto di vista dell’interazione. Faccio un esempio estremo che è quello della “classe ribaltata”.

In questo modello si esorta lo studente a imparare le cose prima di andare a lezione, facendo una serie di video e fornendo una serie di link per gli approfondimenti e poi usare l’aula per avere un insegnamento ancora più applicativo.

Questo potrebbe essere un modo per immaginare la classe del futuro: trasferire fuori dall’aula tutto quello che non è necessario fare all’interno e usare l’aula per interagire in modo ancora più segmentato e personalizzato con i singoli studenti.

La lezione può essere sviluppata con strumenti digitali e può essere segmentata sempre di più in funzione del percorso di apprendimento per far crescere tutti sempre di più.

È un po’ come la personalizzazione dei consumi, pensiamo a una didattica in cui il professore diventi una sorta di personal coach e la classe venga frazionata in quattro o cinque “cluster” per fare lezioni applicative ancora più ricche.

La presenza quindi rimane fondamentale, la Bocconi offre possibilità di scambi internazionali tra studenti ed è una ricchezza, ma dobbiamo fare tesoro di quello che abbiamo imparato.

Cosa abbiamo imparato dalla pandemia, cosa porteremo per sempre con noi?

“Il percorso di globalizzazione degli ultimi cento anni pensavamo in molti fosse irreversibile, non avremmo mai immaginato di vivere una situazione simile a quella di film apocalittici in cui tutto dalla mattina alla sera è cambiato.

Gli aerei non partivano, tutti eravamo in lockdown. Questo ci ha fatti riflettere sulla debolezza dell’essere umano, alla fine la natura come sempre è più forte dell’essere umano, è un aspetto che è sempre bene ricordare. Più pragmaticamente dobbiamo prepararci ad essere pronti ad affrontare nuove sfide. A livello filosofico un aspetto che dobbiamo portare con noi è l’importanza dell’unità. Insieme si vince e da soli si perde. Anche dal punto di vista economico, l’Europa che fino a ieri era contestata oggi ci dà le risorse per rinascere.

La debolezza individuale lascia spazio all’importanza dell’insieme.

Ci porteremo con noi anche nuove competenze come l’uso molto più diffuso della tecnologia, ci siamo allineati in parte ai nostri ragazzi nativi digitali e c’è stata una capacità innovativa per molti.”


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