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Sete di nazionalismo, cause e conseguenze della rivolta in Kazakistan

Febbraio 2022 - Scritto da Dario Fabbri

Le proteste di gennaio in Kazakistan hanno ulteriormente acceso l’estero vicino della Russia, infiammato il corridoio delle nuove vie della Seta, aumentato le tensioni che si riversano sull’Europa. Apparentemente avvenute a distanza siderale dalle nostre latitudini, queste dimostrano di incidere direttamente sulla nostra congiuntura industriale e personale, attraverso il prezzo dell’energia e il possibile ruolo che Roma vorrebbe ricoprire nel negoziato tra Mosca e Washington

Le rivolte sono scoppiate a inizio gennaio nelle province occidentali del Kazakistan, il paese più esteso dell’Asia Centrale. A innescare la miccia, ragioni contingenziali e strategiche. Nelle prime ore è stato il rincaro del prezzo degli idrocarburi a trascinare nelle strade la popolazione, postulante un intervento del governo per stemperare il salasso. Quindi sono aumentate le richieste di un ricambio nella classe dirigente, espresse tanto nella capitale Nur-Sultan (la vecchia Astana) quanto nella principale città, Almaty.

Allora i manifestanti hanno preteso la recisione di ogni legame strategico con la Russia, l’abbandono dell’Organizzazione del trattato sicurezza collettiva, architettura militare centrata su Mosca cui partecipano sei ex Repubbliche federate sovietiche. E qui si rintraccia il cuore della questione. Di origine turcica e mongola, negli ultimi decenni la popolazione kazaka è nettamente aumentata a fronte di una diminuzione consistente degli abitanti russi. Se al termine della guerra fredda quasi il 40% dei residenti era russofono, oggi lo è appena il 19%, mentre il 67% si dichiara autoctono. Negli ultimi anni tali mutamenti demografici hanno acceso il nazionalismo, con conseguente avanzamento della causa kazaka. Per questo i rivoltosi hanno caldeggiato un maggiore legame con il mondo turanico, con la stessa Ankara – solo parzialmente con l’Occidente. Di fatto la sbandierata volontà di porre fine al colonialismo russo applicato al paese, cifra sottovalutata degli eventi.

Preso alla sprovvista mentre è impegnato sul fronte occidentale, il Cremlino è intervenuto militarmente per sedare la crisi, formalmente alla testa dell’Organizzazione del trattato sicurezza collettiva. Difficile stabilire con certezza il numero di morti e feriti. Per ora la violenza pare sedata, ma per la Russia potrebbe trattarsi di una vittoria di Pirro.

Non solo perché la costringe a occuparsi simultaneamente del suo estero vicino occidentale e orientale, adesso che intende negoziare con Washington un allentamento del contenimento ai propri danni. Inevitabilmente l’utilizzo della forza negli affari kazaki aumenterà il risentimento nei confronti di Mosca, già da alcuni decenni radicato in buona parte della popolazione.

Così la crisi rischia di travolgere anche il passaggio nel paese delle cosiddette nuove vie della Seta, progetto di controglobalizzazione in salsa cinese. In formula: il futuro riproporsi della rabbia anti-governativa e russofoba potrebbe travolgere i progetti di Pechino.

Infine, i fatti kazaki hanno ulteriormente irrigidito la posizione della Russia in materia energetica. Con Mosca che si rifiuta di aumentare la produzione a causa delle tensioni a ridosso dei propri confini, nonostante il caro bollette che ha colpito l’Europa e il nostro paese. Anche per corroborare il proprio potere negoziale nei confronti degli Stati Uniti, mostrandosi risoluta in Ucraina come in Kazakistan. Rendendo pressoché impossibile il ruolo di mediatore che pure il governo italiano si è attribuito. E lasciando invariato il costo dell’energia per consumatori e aziende del nostro paese. Significato profondo di eventi che paiono distanti mentre si rivelano assai prossimi.

Dario Fabbri

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