Impresa al femminile - Serve crescita oltre ogni “rosea” aspettativa

di Manuela Donghi - 30 Marzo 2023

Sicuramente una delle novità con le quali affrontiamo il 2023 è quella di una Presidente del Consiglio donna. Fino a qualche mese fa forse impensabile, visti i passi avanti che l'Italia deve ancora fare in tema di pari opportunità, soprattutto sul fronte del lavoro.

Ormai non sono poi così pochi i casi di donne ai vertici di Istituzioni politiche e non, ma per certi versi, fino a questo momento non pensavamo che l’Italia fosse “pronta”, anche se naturalmente non si tratta di essere pronti o meno. Giorgia Meloni è la prima Premier alla guida di Palazzo Chigi, e già era l’unica donna a capo di un partito politico.

Naturalmente e per fortuna, il medesimo ruolo è condiviso da altre protagoniste femminili, come Sanna Marin, Premier finandese, la più giovane leader del mondo, o Elisabeth Borne in Francia e Nicola Sturgeon in Scozia. La prima in assoluto nella storia a ricoprire l'incarico di primo ministro è stata Sirimavo Bandaranaike, eletta Premier di Ceylon e Sri Lanka nell’ormai lontano 1960. Sempre in Asia, dal 2009 è Premier del Bangladesh Sheikh Hasina, che aveva già svolto l'incarico dal 1996 al 2001. L’elenco potrebbe proseguire con l’ex Cancelliera tedesca Angela Merkel, la vicepresidente Usa Kamala Harris, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e in ambito prettamente finanziario con il nome di Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea.

Una lista di questo tipo potrebbe sembrare retorica, eppure, se si ragiona in termini ancora più ampi, ci si accorge che le cose, specialmente in Casa nostra, non vanno proprio benissimo.

Secondo l’agenzia Eurofund, l’Italia è il Paese europeo con il minor tasso di partecipazione femminile al lavoro: parliamo del 54,4% (peggio di noi fa solo Malta), contro una media europea del 63,5%. Il Paese più virtuoso è la Svezia, con il 77,6%. Questa sotto-occupazione costa al nostro Paese ben il 5,7% del Pil.

Quanto guadagnerebbe quindi l’Italia con una maggiore partecipazione femminile al lavoro? Ecco qui: si produrrebbe nuova ricchezza per un valore pari all’11% del Prodotto Interno Lordo. Non poco per niente.

Diamo anche qualche altro numero che scatta invece una fotografia di ciò che sta accadendo, e che potrebbe modificare uno scenario ancora non troppo edificante: l’imprenditoria femminile in Italia è molto rilevante e importante nel tessuto produttivo e in quello dei servizi: il 22% delle imprese è guidata da donne, e negli ultimi cinque anni hanno raggiunto il 75% di tutte le nuove attività presenti sul territorio. Certo non basta, come già specificato.

Nel 1999 l’analista giapponese Kathy Matsui divenne famosa per aver elaborato per la divisione ricerca della Goldman Sachs Global Investment, la teoria della Womenomics.

Matsui metteva in evidenza quanto il superamento del divario occupazionale tra uomini e donne potesse aiutare il Giappone a uscire dalla stagnazione (era il periodo dello scoppio della bolla speculativa sulle proprietà immobiliari alla fine degli anni Ottanta), e sosteneva fortemente che incentivare le donne a partecipare sempre di più al mondo del lavoro, potesse migliorare ampiamente le condizioni economiche di uno Stato, con un aumento del Pil del 15%. Dopo più di venti anni, tuttavia, la questione femminile resta irrisolta o comunque a metà, e di certo non solo in Giappone: tutto il mondo è il proprio Paese.

E’ chiaro che le difficoltà riscontrate, sono da collegarsi ancora oggi a un retaggio culturale saldamente agganciato a “valori” del passato, che causa di fatto questo gap di genere. Una donna si trova di fronte alla scelta “carriera o famiglia” (dovrebbe essere anacronistica), perché intorno a lei non esiste una rete strutturata di aiuti.

C’è da dire che, rispetto al passato, le imprenditrici hanno oggi a disposizione incentivi per la nascita o il consolidamento della propria attività grazie anche ad aiuti ministeriali a patto che, in caso di società, all’interno dei Consigli di Amministrazione siano nominate donne in misura non inferiore a due terzi del totale dei componenti o che, nelle imprese individuali, la titolare sia una donna.

Anche le lavoratrici “autonome” con partita Iva possono accedere alle agevolazioni. Ma si deve fare sempre di più, con continue sollecitazioni e interventi, se si vuole crescere. Oggi si parla tanto di ripresa, ma noi dobbiamo puntare più in alto.

Insomma. Dobbiamo accelerare, se vogliamo essere competitivi.

Anche attraverso misure di sostegno che siano sempre più efficaci, e dove per “sostegno” non si intendono Bonus o mance, ma aiuti concreti e strutturali, attraverso i quali il Paese possa diventare sempre più attrattivo.

In Italia, il Ministero dello Sviluppo Economico ha istituito per il 2022 il “Fondo impresa femminile”, che sostiene la nascita, lo sviluppo e il mantenimento delle imprese guidate da donne attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati. Le risorse si sono esaurite ben presto e siamo in attesa che venga prorogato.

Ed ecco una buona , anzi, ottima notizia. Come mostrano i dati elaborati da InfoCamere per l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere, l’innovazione “in rosa” continua a crescere.

Sono 2000 le start up innovative registrate a fine settembre 2022, 572 in più rispetto allo stesso periodo del 2019.

Proprio durante il periodo emergenziale caratterizzato dalla pandemia Covid, molte donne hanno aperto attività specializzate nello sviluppo, nella produzione e commercializzazione di un prodotto o servizio tecnologico. Rappresentano il 13,6% del totale delle start up, una quota simile a quella di due anni prima (era il 13,5%). Ma la loro crescita è stata notevole, si parla di un +40%. Quali sono i settori maggiormente interessati? Oltre il 70% di queste duemila attività opera nei servizi alle imprese; poco più del 15% invece nelle manifattura, e il 4,6% nel commercio. Sono quattro le regioni più innovative, dove si concentra più del 50% del totale delle imprese di questa tipologia: Lombardia (470), Lazio (263), Campania (204), Emilia Romagna (143). In valori assoluti, i saldi più consistenti si sono registrati in Lombardia, Lazio, Campania e Toscana.

A livello generale, invece, in Italia sono più di 1 milione 342mila le imprese al femminile. Tra i settori più interessati troviamo le Altre attività dei servizi (sono oltre la metà), la Sanità e assistenza sociale (37,21%), l’Istruzione (30,92%), le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (29,21%), l’agricoltura (28,13%) e il Noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (26,54%).

Che serva come buon proposito, oggi più che mai.


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