Luca Colombo - Meta Italia, le nuove sfide di Facebook e Instagram

di Francesca Caon - 24 Agosto 2023

"L’evoluzione dei social network va di pari passo con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale". Ne è convinto Luca Colombo, country director Italia da novembre 2010 di Meta, il colosso dei social network Facebook e Instagram che fa capo a Mark Zuckerberg. Laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, quando lo intervisto Colombo colpisce per la sua profonda capacità di analisi e per l’ottimismo che cerca di trasmettere. Non a caso, solo poco tempo fa, in occasione della RomeCup, il manager ha spiegato che l’intelligenza artificiale non è nata con ChatGPT, come comunemente verrebbe da pensare. Il punto di forza di Meta, infatti, è, da sempre, l’analisi di scenario a lungo termine: in azienda si utilizza l’AI già da anni, precorrendo i tempi. Il motivo? Le 40.000 persone che si occupano della verifica dei contenuti non sono sufficienti per rimuovere nel mare magnum dei social gli argomenti legati ad apologia di terrorismo e all’odio, quindi l’unica soluzione è rappresentata dalla ricerca e sviluppo nell’AI. Un’altra sfida per i social che hanno concluso la loro era, per così dire, pionieristica, è il Metaverso: i dispositivi diventeranno indossabili e maggiormente accessibili ai nostri tanto amati smartphone, per la gioia dei fashion designer che potranno sbizzarrirsi nella creazione di occhiali e orologi in edizione limitata.

Come ha iniziato la sua esperienza in Meta?

"Dopo essermi laureato nel 1995, ho avuto l’opportunità di lavorare in Mondadori come Business Development Manager fino al 1999. Questa esperienza mi ha consentito di conoscere a fondo il settore editoriale. In seguito, la mia passione per la tecnologia e l’interesse verso tematiche riguardanti l’innovazione hanno preso il sopravvento, quindi, quando si è presentata l’opportunità di entrare in Microsoft, l’ho voluta cogliere al volo. Sono rimasto in azienda per oltre 10 anni, ricoprendo vari ruoli: sales director in Microsoft Advertising, marketing director per MSN e Windows Live, e, infine, consumer & online marketing officer. Nel 2009 Meta, che all’epoca aveva 1700 dipendenti nel mondo, aveva deciso di aprire la filiale italiana, nata ufficialmente l’anno successivo: la sede era nei pressi di Via Torino e ricordo che eravamo ancora in fase pionieristica. In ufficio avevamo una macchinetta per il caffè e un frigorifero che avevamo comprato online sul sito di Mediaworld. Oggi, naturalmente, a distanza di dodici anni, la situazione è, ovviamente, molto cambiata. La società, però, pur essendo più strutturata, mantiene ancora una caratteristica tipica delle start up, la capacità di arrivare al consumatore finale. Un altro elemento peculiare che la contraddistingue è la velocità di pensiero e di azione, due elementi che si sposano molto bene con l’operato degli inizi. Questo agire fast implica una maggiore possibilità di commettere e accettare gli errori, e di questo i dipendenti ne sono consapevoli, in quanto ancora oggi fanno parte della nostra cultura aziendale. In Meta, infatti, si ha sempre l’accettazione del fallimento, che in Italia è malvisto, anche se, da un po’ di anni, si sta cominciando a sdoganare questo tabù. I requisiti che ho descritto non sono presenti in tutte le società americane, perché tra Microsoft e Facebook vi sono differenze molto marcate derivanti dal mercato di riferimento: la prima è pensata per rivolgersi ad altre società e imprese, mentre Meta si rivolge ai consumatori e agli utenti finali. Questo significa avere maggiori stimoli che spesso si rivelano utili per rispondere prontamente al consumatore, una cultura aziendale non proprio americana".

Come nasce la sua passione per l’innovazione?

"Questo pallino l’ho sempre avuto fin dall’adolescenza: ho conseguito il diploma di perito elettronico dai Salesiani, i primi tre anni ho frequentato il Centro di Formazione Professionale, che esiste anche oggi e che è una scuola superiore con una forte impronta pratica, che a me è sempre piaciuta molto (trascorrevamo più di dieci ore a settimana in laboratorio). Sono cresciuto con la rivista “Elettronica 2000”, della quale possiedo ancora adesso i numeri nella mia libreria, e con le mie sperimentazioni casalinghe. Il binomio tecnologia ed elettronica presuppone una innovazione costante, quindi, anche se oggi le attività pratiche le ho accantonate, questa passione per le novità, come il Metaverso, il coding e l’AI si mantiene inalterata. Mi piace capire dove le tecnologie emergenti potranno arrivare".

Metaverso e dispositivi indossabili: come si sta muovendo l’impresa?

"Il concetto di Metaverso l’abbiamo lanciato in grande stile ad ottobre 2021 quando abbiamo organizzato l’evento Connect, che tutti ricordano perché in quella circostanza annunciammo il cambiamento del nome della società. Ma pochi si ricordano che, in quell’ora e venticinque minuti – Connect è durato un’ora e mezza – abbiamo spiegato in dettaglio questa visione e le attività di ricerca e sviluppo che tutt’ora stiamo portando avanti. Il Metaverso oggi viene confuso, erroneamente, con il concetto di realtà virtuale. Il futuro? Gli oggetti indossabili daranno la possibilità di accedere ad internet. Solo per fare un esempio, in Meta stiamo mettendo a punto un piccolo braccialetto che permette di rilevare e misurare ciò che viene fatto con le dita, grazie al quale possiamo dare una serie di segnali di ingresso verso un cellulare. In futuro potremo svolgere non solo tante attività ma con una modalità molto più fruibile rispetto ad oggi. Come tempi, posso dire che ci vorranno tra i cinque e i dieci anni di ricerca e sviluppo. Anche se nell’immediato i dispositivi indossabili non possono dare un ritorno economico, sono sempre nella nostra agenda".

Facebook e Italia: cosa differenzia il nostro Paese dagli altri a livello di utenti?

"Una delle cose che ho notato fin dall’inizio in Facebook Italia rispetto agli altri paesi è la forte propensione che gli italiani hanno nell’adozione di piattaforme social: il concetto di social, in primis, era Facebook, ma, anche quando Instagram ha iniziato a prendere piede nel Belpaese, è cresciuto molto più velocemente rispetto ad altre nazioni. Questo dimostra che la propensione degli italiani ad adottare piattaforme che permettono di interagire, di relazionarsi e di curiosare è intrinseca nei loro tratti di personalità. Anche nell’utilizzo di Whatsapp, che è messaggistica istantanea ma anche un po’ un social, l’Italia è una delle prime nazioni fruitrici in termini di numero di utenti e anche rispetto alla popolazione complessiva: in poche parole, è uno dei paesi al top in termini di penetrazione".

Differenze tra utenti Facebook e Instagram?

"Su Facebook c’è il contributo video e immagine che arricchisce una conversazione, mentre su Instagram è predominante l’immagine. Le differenze riguardano le caratteristiche peculiari delle due piattaforme, non gli utenti".

Come valuta l’integrazione futura tra tecnologia, social network e il rischio di vivere sempre più online?

"Nella storia delle comunicazioni di massa e dei nuovi media c’è sempre stato l’avvento di una tecnologia emergente. Ricorda quando i nostri genitori demonizzavano la televisione, che ci attraeva e modificava i nostri comportamenti? Ciascun dispositivo nuovo deve essere utilizzato in maniera corretta, e questo è compito della famiglia e della scuola, perché, a seconda di come utilizzi una qualsiasi tecnologia, questa può rappresentare, a seconda dei casi, un’opportunità o un problema. Dobbiamo pensare che l’innovazione tecnologica ha permesso di semplificare la vita a tante persone, con un livello di interazione superiore rispetto a un mezzo passivo come la tv. Il connubio tra tecnologia, piattaforme e informazione permette alle persone di fare tante cose. Come azienda, ci impegniamo fortemente nella divulgazione di una conoscenza approfondita dello strumento da parte dei clienti/consumatori e nella sfida contro l’abuso di tecnologia, due fenomeni che vanno di pari passo. Come genitore, mi sto impegnando a insegnare ai miei figli un utilizzo responsabile".

Capitolo disinformazione e fake news, che sui social diventano virali. Quali misure si possono attuare?

"La disinformazione c’è sempre stata, ma, ovviamente, oggi la pervasività delle piattaforme ha amplificato il fenomeno. Noi come azienda siamo intervenuti per limitarlo il più possibile. Difficile intervenire sulle opinioni, su quelle che io definisco 'le scale di grigio', più difficili da identificare rispetto a colori netti come il bianco e il nero che si possono riconoscere subito. Per smascherare notizie oggettivamente false e problematiche, in Meta da diversi anni lavorano i fact checkers che, laddove ci siano segnalazioni di post sospetti, fanno una verifica e, pur non eliminandoli, restituiscono l’informazione all’utente. Se il post è falso, viene evidenziato come tale con il link all’approfondimento della notizia vera e la riduzione della sua visibilità. Come ho detto, non viene tolto, perché desideriamo che le persone si rendano conto del fake e che acquisiscano sempre più spirito critico. Durante la pandemia, per esempio, su Whatsapp venivano divulgate informazioni non solo non corrette, ma anche dannose per la salute; in questo caso procedevamo alla loro rimozione. Ci siamo attivati anche in caso di “catene”, ovvero di messaggi inoltrati tante volte, per avvertire che potevano trattarsi di fake news. Per limitare il fenomeno, siamo passati da un numero di 10.000 persone che si occupano di revisione dei contenuti a 40.000, che però, per la mole dei dati, non sono sufficienti, anche se l’intelligenza artificiale ci ha aiutato a rendere la piattaforma la più sicura possibile".

Tutte le crisi che abbiamo affrontato tra pandemia, guerra in Ucraina e altre di carattere personale mettono sempre a nudo le proprie fragilità. Quale rapporto nutre con la sua parte più intima e umana?

"Essendo un ingegnere, mi reputo una persona molto orientata all’analisi dei dati numerici, molto oggettiva e molto diretta. Mi piacciono i fatti, quindi non sono un emotivo. Detto ciò, ci sono stati momenti, nella mia vita, che mi hanno mosso internamente e che hanno cambiato un po’ le mie priorità. Ho avuto una malattia importante, un tumore scoperto all’età di 41 anni, quando i miei figli avevano uno e cinque anni: la settimana in cui fu diagnosticato, nel 2011, è stata per me come un terremoto. Prima il lavoro era centrale, adesso la priorità è diventata la salute, anche per stare più anni possibile assieme ai miei figli, che oggi hanno dodici e sedici anni. Quindi, mi sottopongo ai controlli di routine e pratico tanto sport. Inoltre, sto tentando di comunicare ai miei colleghi l’importanza della prevenzione, perché la salute non è mai scontata".

Tra le sfide che affronta, quella di essere padre è forse la più difficile?

"Sì, soprattutto con un figlio adolescente e con uno pre adolescente non è sempre facile relazionarsi, anche nella gestione della quotidianità. Il mio scopo è quello di indirizzarli verso la loro strada, fargli capire quale può essere quella migliore per loro, tenendo conto di come sarà il mondo del lavoro tra dieci anni. La storia e l’esperienza maturata aiutano, ma non possono prevedere il futuro".

Come si selezionano i collaboratori in Meta, in base ai tratti di personalità o in base alla competenza?

"In base al mio approccio personale, non è la competenza la discriminante prevalente. Per me ci deve essere un feel culturale, ovvero la capacità di vivere in quest’ambiente, più importante della stessa competenza verticale su una professione o una funzione. Perché puoi essere estremamente preparato, ma se non riesci a comprendere che l’azienda si muove velocemente, che la struttura è particolarmente snella e che ci sono degli obiettivi ambiziosi che devi riuscire a vivere e ad interpretare correttamente, potresti essere anche il migliore professionista di questo pianeta ma andrai a sbattere dopo due giorni. Insomma, occorre riuscire a introiettare i valori aziendali e comprendere quelle esigenze per avere successo sul mercato".

Qual è il suo approccio al lusso?

"In Meta Italia il lusso ha un ruolo importante, seguiamo diverse aziende del settore in tutto il mondo. La capacità di riuscire a lavorare con tante realtà italiane riconosciute anche all’estero come eccellenze è per me il modo migliore per stare vicino ad un segmento di mercato affascinante che caratterizza l’Italia e la Francia. Per quanto riguarda me, invece, sono appassionato di orologi, che ho costruito negli anni e che colleziono. Poi, il fatto di poter gestire il mio tempo per me è un lusso. Meta garantisce autonomia di orario e possibilità di smartworking, e questo è importante".

La maggior parte delle piccole e medie imprese sono presenti sui social, in che modo riescono a fare business?

"Consideriamo che 200 milioni di aziende hanno una pagina Instagram o un profilo Facebook e, di queste, 10 milioni spendono in pubblicità. Parliamo di piccole realtà, una grossa fetta del mercato di Meta come ristoranti, bar, sale cinematografiche, saloni di parrucchieri e centri estetici, che nelle nostre piattaforme hanno trovato qualcosa in più. Con noi creano valore, anche solo pubblicando qualcosa. Consideriamo anche che 190 milioni di piccole società, pur non spendendo soldi per la pubblicità, sono comunque presenti perché grazie ai social hanno possibilità di tenere aggiornati i propri clienti e intercettare quelli potenziali, in una parola hanno possibilità di ampliare il proprio business. A loro diamo servizi gratuiti, mentre le altre hanno deciso di investire con le campagne. In entrambi i casi, si ha riconoscibilità del marchio e del prodotto/servizio, conquistando nuovo pubblico".

Sono cambiate molto anche le policy di copy nella vendita sui social?

"All’inizio Facebook era solo testuale, poi sono arrivati le immagini, i video, le stories, i reel, etc. La sfida per le aziende che vogliono stare al passo con i tempi è riuscire a capire quali, tra queste leve che ho elencato, potrebbe essere quella migliore per loro. Ecco perché il copy e il formato stanno affrontando una rivoluzione non da poco".

Quali sfide sta affrontando in questo momento?

"Durante la pandemia c’è stata una forte accelerazione del digitale, che ora, però, è in fase di riequilibrio. La sfida, oggi, è tornare ad avere dei tassi di crescita del settore in linea con quelli pre pandemia, una crescita più organica e più stabile. In pratica, i tanti investimenti fatti in epoca Covid devono essere ribilanciati. Inoltre, ho creato con l’Università Bocconi un programma di mentorship con 28 AD e 28 studenti, oltre a dare una mano ad alcune realtà del terzo settore. Lo scopo, in futuro, sarà sempre di più riuscire a generare un impatto positivo sul territorio mettendo a disposizione la mia competenza professionale e la mia esperienza maturate negli anni".

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