Gianni Agnelli - Il Re d’Italia senza corona

25 giugno 2021 - Scritto da Francesca Caon

Così Federico Fellini amava tratteggiare il profilo di Gianni Agnelli, figura leggendaria del Novecento di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, avvenuta a Torino il 12 marzo 1921.

Nipote del senatore del Regno nonché fondatore della FIAT Giovanni Agnelli, Gianni è stato per l’Italia molto più che un magnate del settore automobilistico e poco meno che un imperatore di fatto.

Secondo dei sette figli della coppia Edoardo Agnelli e Virginia Bourbon del Monte dei Principi di San Faustino, lui affermato industriale e lei figlia di un nobile con origini per metà statunitensi, conduce un’infanzia conforme alle aspettative di un qualsiasi rampollo dell’epoca: studi a Torino e poi in America, costellati da frequentissime trasferte tra Forte dei Marmi e la villa in Costa Azzurra.

Poi l’affacciarsi di una tragedia familiare e personale, la prima di tante che colpiranno l’Avvocato fino alla più tremenda, il suicidio del figlio Edoardo nel novembre del 2000.

È proprio di ritorno da un viaggio in Versilia che nel 1935, a bordo di un idrovolante, il padre di Gianni Agnelli ha trovato la morte in modo quantomeno rocambolesco.

Sceso sull’ala del velivolo dopo l’ammaraggio e già in posa per i fotografi, perse l’equilibrio cadendo verso l’elica del motore ancora in funzione venendo, di fatto, decapitato.

Alla tragedia seguirà una lunga querelle giudiziaria in seguito alla relazione della madre Virginia con il fascinoso giornalista e scrittore Curzio Malaparte, ritenuta inopportuna da molti e soprattutto dal suocero, il senatore Giovanni Agnelli.

Il patron della FIAT cercò in ogni modo, compreso l’intervento della polizia, di sottrarle i figli ed essere nominato loro tutore; salvifico è stato l’intervento di Benito Mussolini, che si occupò del caso e ottenne che i bambini rimanessero affidati alla madre.

Il destino di Gianni, allora sedicenne, comincia così a formarsi.

Poco più che ventenne sarà designato dal nonno Giovanni alla guida della FIAT, il colosso automobilistico di famiglia con interessi crescenti anche al di fuori dei confini nazionali.

Una responsabilità enorme ma accolta con straordinaria maturità.

Con la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta dei Savoia, infatti, il giovane torinese ha subito dimostrato di avere tutte le caratteristiche giuste per ereditare, metaforicamente parlando, lo scettro del potere monarchico lasciato vacante dall’esilio estero della monarchia nostrana.

In breve tempo gli Agnelli sono diventati la vera Famiglia Reale italiana, una dinastia guidata da Gianni nel ruolo di giovane sovrano a soli 22 anni (lo stesso destino toccato in sorte al nipote John Elkann, designato dall’Avvocato come suo successore alla stessa età).

Di lui si dice spesso che dalla vita abbia ricevuto tutto e senza parsimonia.

Bello e ricchissimo, dandy e gentiluomo, Avvocato ad honorem per la capacità di affabulare, influenzare, raccontare con le parole, ma anche molto altro.

Italianissimo nelle sue passioni più viscerali – il calcio con la sua Juventus, le macchine veloci e il gossip di tante storie d’amore, ovvero le tre ossessioni nazionali – Agnelli è però stato elitario in tutte le altre espressioni del suo vivere inimitabile.

Come icona di stile ha incarnato meglio di chiunque altro lo spirito autentico del Paese per poi proiettarlo in una dimensione cosmopolita del tutto inedita, fatta di frequentazioni internazionali con il gotha della politica, dell’imprenditoria, del jet set mondano più in vista dell’epoca.

Gianni Agnelli è stato un impareggiabile ambasciatore nel mondo di quel Made in Italy da lui stesso forgiato e potenziato, un sapiente cocktail i cui ingredienti sono la dolce vita, la bellezza e il potere; un Re capace di influenzare i costumi del proprio Paese in maniera costante e onnicomprensiva senza mai tralasciare nulla a partire dai dettagli, come l’iconico orologio portato sopra il polsino della camicia o ai tanti vezzi che ne descrivevano appieno la personalità.

Ma l’immaginario collettivo a cui ha dato vita, ed è qui che la sua storia diventa unica, si lega a doppio filo ad uno dei periodi chiave della rinascita italiana.

L’amico ed ex consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato degli Stati Uniti durante l’era Nixon Henry Kissinger, ricordava come fosse “pericoloso pensare qualcosa in sua presenza, perché l’avrebbe colta”; l’intuizione di Agnelli è infatti la caratteristica che gli ha consentito di traghettare un’Italia distrutta dalla guerra, e quindi martoriata dalla piaga della disoccupazione, in un modello virtuoso per tutto l’Occidente.

Non è un caso che il miracolo economico degli anni ’50 abbia coinciso, nella storia del nostro Paese, con il boom della Fiat.

L’esplosione dell’automobile italiana ha rappresentato un volano indispensabile per la rinascita industriale e sociale, l’emblema di una nazione capace di correre, innovare e dettare mode all’estero spesso in modo bipartisan, come dimostrano la convivenza dei forti legami americani e la città - fabbrica di Togliattigrad in Urss, fortemente voluta dallo stesso Avvocato nonostante i crescenti timori di un’influenza comunista in Europa.

L’ambizione di Gianni Agnelli era proprio quella di fare della FIAT un’azienda internazionale, estremamente radicata anche all’estero.

Ci provò nel 1968 tendando la scalata della Citroën, all’epoca in forte dissesto finanziario, senza però riuscire ad ottenere più che una piccola partecipazione.

Dopo aver ceduto la partecipazione a Peugeot, investì in stabilimenti in Jugoslavia, Turchia, Polonia e Brasile.

La sua grande lungimiranza è testimoniata dalla convinzione che l’azienda, da sola e senza partnership, non avrebbe mai potuto competere ad alti livelli nel futuro.

Cominciò così l’avvicinamento a General Motors, conclusosi con un accordo all’inizio degli anni 2000, durato solo 5 anni e poi riproposto con la fondazione di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e poi Stellantis N.V. nel gennaio 2021.

L’importanza di Gianni Agnelli è sempre stata difficile da quantificare, andando ben oltre il ruolo di manager e capitano d’industria.

Più il suo mito cresceva sui media, sempre corteggiatissimo da riviste, magazine patinati e quotidiani che lo accostavano a capi di Stato e ad aristocratici raffinati, più il valore del Made in Italy si andava solidificando nella percezione e nell’immaginario collettivo.

Fu proprio il settimanale americano Newsweek a definirlo “un Re senza corona”, confermando sia la straordinaria reputazione sia l’abilità comunicativa di Agnelli, tra i primissimi a comprendere la necessità intrinseca di ogni impresa di saper comunicare, intessere relazioni, stringere legami proficui ai massimi vertici possibili fino all’ultimo giorno, il 24 gennaio 2003.

Il suo lascito è storia.

Appunto una storia italiana, anzi, un capitolo determinante della storia d’Italia.

Gianni Agnelli è stato l’uomo necessario per ripartire nel dopo guerra, e forse anche il prototipo di imprenditore, manager carismatico, esteta, umanista, ambasciatore dell’italianità di cui noi tutti avremmo bisogno, anche e soprattutto oggi, per ricostruire e tornare a splendere nel mondo.

Indietro
Indietro

Come esportare il “Made in Italy”

Avanti
Avanti

Geopolitica e Aziende: intervista a Dario Fabbri